UFFICIO NAZIONALE PER LA COOPERAZIONE MISSIONARIA TRA LE CHIESE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

MESSAGGIO FINALE Thailandia

Ufficio Nazionale per la cooperazione missionaria tra le Chiese   Chiesa italiana e Chiesa thailandese in dialogo   Convocati dall’Ufficio Nazionale per la cooperazione missionaria tra le Chiese, noi missionari/e italiani in Thailandia, Cambogia, Laos, ci siamo riuniti in 85 (su un totale di 98) dal 10 al 12 febbraio 2003 a Hua Hin (Thailandia) […]
29 Ottobre 2008

Ufficio Nazionale per la cooperazione missionaria tra le Chiese
 
Chiesa italiana e Chiesa thailandese in dialogo

 
Convocati dall’Ufficio Nazionale per la cooperazione missionaria tra le Chiese, noi missionari/e italiani in Thailandia, Cambogia, Laos, ci siamo riuniti in 85 (su un totale di 98) dal 10 al 12 febbraio 2003 a Hua Hin (Thailandia) per discernere con la luce dello Spirito il progetto di Dio su questi popoli, e riflettere sulla vocazione che ci impegna ad essere persone di comunione tra le Chiese per la missione evangelizzatrice.
Ci hanno accompagnato e aiutato in segno di comunione, affetto e sostegno delle nostre Chiese: S.E. Mons. Michael Praphon Chaicharoen, Vescovo di Surat Thani e incaricato dalla Conferenza Episcopale Thailandese; S. E. Mons. Gervasio Gestori, Vescovo di San Benedetto del Tronto e membro della Commissione episcopale della Conferenza Episcopale Italiana per l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese; S. E. Mons. Adriano Bernardini, Nunzio Apostolico in Thailandia; P. Philip Somchai Kitnichi, Presidente della Conferenza degli Istituti religiosi in Thailandia; Mons. Giuseppe Andreozzi, Direttore dell’Ufficio nazionale della C.E.I. per la cooperazione missionaria tra le Chiese; Don Giuseppe Pellegrini, Vice-direttore dello stesso Ufficio; Don Giampietro Fasani, Economo della C.E.I.; Don Giandomenico Tamiozzo, Responsabile della sezione Asia del Centro Unitario Missionario (C.U.M.) di Verona.
L’ascolto della Parola di Dio, la preghiera, le riflessioni di gruppo e le relazioni dei rappresentanti della Chiesa thailandese e italiana, hanno rafforzato in noi la volontà di essere voce profetica in questi ambienti e diventare sempre più autentici annunciatori del Vangelo, che è forza di liberazione e strumento di comunione per tutti i popoli.

Ascoltare col cuore
Come stranieri in ogni nazione, e pure di casa ovunque, ci sforziamo di comprendere cultura e sentimenti dei popoli ai quali vogliamo comunicare il Vangelo. Abbiamo ascoltato quanto la Chiesa thailandese dice di se stessa, della sua attività pastorale ed evangelizzatrice, dei suoi metodi, dei suoi problemi e delle sue prospettive.
Benché piccola, essa è veramente una comunità dinamica, che testimonia ed evangelizza con molteplici attività: educazione, promozione sociale, specialmente tra le fasce più povere ed emarginate (gruppi etnici, ammalati di AIDS, drogati), pastorale della sanità con grandi e piccoli ospedali, cura pastorale delle comunità cristiane e annuncio ai non cristiani, sia nelle aree rurali come nelle città.
Sappiamo che, anche dopo decenni di presenza, non riusciamo ad acquisire una adeguata comprensione antropologica e religiosa di questi popoli. Ci è difficile capire profondamente cosa c’è nell’uomo e chi è l’uomo thailandese, cambogiano e laotiano.
Per questo siamo convinti che dobbiamo vivere con atteggiamento di umiltà, e soprattutto di ascolto e servizio, cercando di decifrare quanto lo Spirito ha già operato in loro e tramite loro. La chiave di lettura è il cuore: essi capiscono maggiormente le ragioni dell’amore. Siamo altresì convinti che strumento infallibile della comunicazione del Vangelo resta la testimonianza, frutto di santità che, specialmente qui, diviene metodo e contenuto dell’evangelizzazione.

Costruire la Chiesa
Come cristiani, appartenenti all’unico corpo di Cristo che è la Chiesa, ci sentiamo in dovere di prendere parte attiva e responsabile all’edificazione di queste Chiese. Esse sono sparute minoranze, capaci però di far lievitare e fermentare, in mezzo a popoli dalle culture e religioni che non temono confronti, i valori universali del Vangelo.
Non saremmo sinceri se non esprimessimo anche un certo disagio causato dalle esigenze radicali del Vangelo proprie della nostra vocazione di consacrati e dell’attività nella quale ci troviamo impegnati.
Le nostre strutture (scuole – ospedali – centri … ) e quelle delle Diocesi dove operiamo, sorte per venire incontro alle necessità primarie dei poveri ed emarginati, sono cresciute con gradualità e ritmo impensati e si sono trasformate in complessi tali che sembrano essere più a servizio delle classi abbienti e meno accessibili ai poveri.
Restiamo così un po’ perplessi (forse non ne abbiamo capito le ragioni) di fronte alla realizzazione di opere che se da una parte corrispondono alla necessità di “visibilità”, dall’altra realizzano condizioni di un certo potere economico: il bisogno di autosufficienza economica espone infatti al rischio di affievolire l’impegno di condividere la vita dei più poveri, lavorando con loro e per loro.
La sapienza orientale aspetta di essere coniugata con la croce di Cristo: Lui e il suo Vangelo non sono mai rimasti appiattiti in nessuna cultura; sono sempre un giudizio critico sulla sapienza umana. E’ ciò che questa Chiesa e noi stessi ci sforziamo oggi di fare, coscienti che dobbiamo tendere continuamente verso una maggiore autenticità evangelica.

Aree di servizio
Quest’incontro ci ha offerto l’occasione, per la prima volta, di riflettere insieme (Istituti – Congregazioni religiose - Fidei donum – Laici …) sui vari tipi di presenza e di attività di evangelizzazione.
Abbiamo preso in considerazione le aree in cui esse si svolgono: la parrocchia, l’educazione, la pastorale degli ammalati, il servizio sociale, la formazione e l’animazione vocazionale. Sono questi infatti i principali areopaghi della nostra missione.
1. La parrocchia
Costituisce il luogo necessario di aggregazione che permette a piccole Chiese come le nostre di sperimentare un vero senso di appartenenza.
Diversità di localizzazione (urbana o rurale) e di circostanze di costituzione, impediscono alla parrocchia di presentarsi ovunque con le medesime strutture, funzioni ed attività. La sua eterogeneità dipende anche dalla necessità di far penetrare l’annuncio e la testimonianza in concreti contesti sociali e culturali e dalla varietà dei bisogni cui deve corrispondere. Mancano però anche chiare linee pastorali comuni.
Due le priorità che si impongono:
 confermare e formare i battezzati fino a farli diventare maturi nella fede;
 proclamare il Vangelo a coloro che non lo hanno ancora ricevuto.
Per forza di cose la parrocchia si presenta poi come comunità missionaria, ed è nostra preoccupazione rimanere al servizio di tutti: poveri e ricchi, vicini e lontani.
Inoltre, più di quanto non accada in Italia, per noi missionari/e riesce relativamente facile riconoscere e valorizzare la dimensione vocazionale dei laici all’attività pastorale e missionaria. E’ attraverso il consiglio pastorale che si mantengono stretti rapporti con la comunità cristiana della città. Con i catechisti e i capi villaggio si possono invece vivere ottime esperienze di annuncio e aggregazione in contesti più rurali.
Una menzione particolare merita la comunità parrocchiale in Cambogia. Essa normalmente nasce dal recupero dei cristiani lasciati vivi dalla rivoluzione khmer, gente povera in mezzo alla quale e’ necessario ricreare un autentico tessuto sociale. La parrocchia assume così la caratteristica di centro propulsore di sensibilità e riaggregazione per l’evangelizzazione dei più poveri. E’ in questo contesto che si sviluppa la creatività di una pastorale che cerca di incarnare il Vangelo nelle diverse situazioni vissute dalla gente.
2. L’educazione
Nessuno di noi mette in dubbio la validità del ministero dell’educazione. Le scuole cattoliche sono sorte per offrire una formazione cristiana ai cattolici e per educare le coscienze di quanti cristiani e non cristiani chiedono una preparazione solida e rispondente alle esigenze della dignità umana.
Poco alla volta, per le norme poste dallo Stato e la dinamica innestata dalla competitività, esse sono divenute accessibili, sia per il costo economico che per l’alto livello culturale, quasi esclusivamente a studenti provenienti dal ceto medio-alto. E' anche vero però che gli studenti poveri sono accolti gratuitamente nelle scuole professionali mentre in altre scuole si sostengono in parte le loro spese. Tuttavia fino ad oggi “non si è riusciti a realizzare scuole di buon livello accessibili ai poveri”. Permane così un grosso interrogativo: è davvero sufficiente devolvere il profitto economico ad iniziative pastorali destinate ai poveri per giustificare la gestione di opere scolastiche riservate ai ricchi?
Per tanti motivi non è facile cambiare questa situazione. Ma in noi deve restare questo pungolo, che stimola a ritornare all’ispirazione originale dell’istituzione delle scuole e in costante riferimento con le priorità apostoliche e pastorali. Una cosa tuttavia possiamo e dobbiamo fare fin da subito: formare i maestri cattolici e il personale docente facendo riscoprire loro la bellezza della vocazione educativa, rendendoli capaci di trasmettere i valori cristiani e di assumere col tempo la piena responsabilità gestionale delle scuole.
3. La formazione e l’animazione vocazionale
Come nella maggior parte dei paesi asiatici, anche in Thailandia si incomincia ad avvertire una riduzione dei soggetti vocazionabili. La compresenza poi di vari Istituti, tutti necessariamente interessati all’animazione vocazionale, rende urgente l’istituzione di una commissione che coordini questo importante settore della Chiesa.
Sentiamo il dovere di esprimere fortemente una nostra preoccupazione, che speriamo diventi indicazione per il cammino formativo dei giovani che entrano nei diversi Istituti: è necessario che nei giovani venga favorita una adeguata maturità umana e cristiana attraverso un graduale cammino di fede. E’ questa una conditio sine qua non, perché possano capire e scegliere la vita religiosa e inculturare il carisma specifico dell’Istituto.
4. La pastorale degli ammalati
Siamo convinti che la cura degli ammalati è un’opera autentica di evangelizzazione, in linea e in continuità con la missione messianica di Cristo che ha avvicinato il mondo della sofferenza guarendo ogni sorta di malati e infondendo fiducia nella paternità amorevole di Dio.
I Paesi dell’Indocina sono stati provati da tragedie atroci che hanno prodotto sofferenti e malati, a volte discriminati anche in base a distorte visioni religiose. Nostro compito è affermare la dignità dell’ammalato in quanto persona, anche di quelli afflitti da malattie quali l’AIDS, la lebbra o portatori gravi di handicaps.
Il nostro servizio prima di tutto deve essere per coloro che sono rifiutati o discriminati (anziani, donne tribali, disabili, malati terminali, malati di AIDS, …) e per i poveri non raggiunti dal servizio sanitario del Paese.
E’ altresì necessario impegnarsi a formare il personale sanitario non solo in senso professionale ma anche etico/spirituale, aiutandolo a considerare l’ammalato come una persona da rispettare e possibilmente da amare.
5. Il servizio sociale
Proprio perché missionari ci ritroviamo impegnati anche in una ricca gamma di attività sociali: formazione a tutti i livelli, cura di malati terminali, progetti rurali integrali, sviluppo di strutture ambientali (ponti, strade…), mantenimento ed educazione dei bambini poveri o privi di genitori, presenza tra baraccati …. E’ la fantasia della carità che si realizza secondo le priorità imposte dal contesto umano in cui viviamo. Abbiamo fiducia che le opere del Vangelo diano forza dimostrativa all’annuncio che facciamo. E’ anche così che proclamiamo l’avvento del Regno di Dio, a somiglianza dei segni messianici che accompagnarono la stessa predicazione di Cristo.

Queste dunque le attività nelle quali realizziamo la nostra presenza missionaria.
Sappiamo che tutto quanto noi operiamo è reso fecondo e vitale dalla contemplazione del volto di Cristo, che riconosciamo in quello dei fratelli e delle sorelle che serviamo.
E’ la fede in Lui che ci spinge a divenire sacrificio di comunione, ponendoci al servizio di tutti e specialmente degli ultimi. E’ la potenza della Parola che salva e l’esperienza dell’incontro con Lui, che ci sospinge a divenire testimoni sempre più credibili dell’amore salvifico di Dio per i popoli dell’Asia.

Impegno verso il futuro
Siamo grati alla Chiesa italiana per aver preso l’iniziativa di riunirci, rendendoci più coscienti di essere espressione anche delle comunità ecclesiali che ci hanno inviato e chiedendoci di divenire ponte di comunione tra realtà ecclesiali distanti. Siamo chiamati ad essere come cardini tra stipite e porta, tra Chiesa che manda e Chiesa che accoglie. Si potrà così realizzare una vera cooperazione e comunione tra Chiese per la missione universale.
La nostra presenza e attività di servizio in queste Chiese, se da una parte permettono loro di conoscere e attingere dall’esperienza originale della comunità cristiana che ci ha inviati, dall’altra stimola la Chiesa particolare dalla quale siamo partiti alla cooperazione missionaria, riscoprendo fondamentali valori evangelici.
Per realizzare tutto questo con pienezza e continuità, poiché la Chiesa opera con una pluralità di soggetti, è necessario creare e tenere aperte vie di informazione e comunicazione attraverso parrocchie, diocesi, Istituti e gli stessi uffici nazionali preposti al coordinamento dell’animazione e dell’attività missionaria.
Sapere che due Chiese locali si incontrano sul cammino dell’evangelizzazione, condividerne le speranza, sostenerne gli sforzi, arricchirsi vicendevolmente tramite le meraviglie che Dio opera anche attraverso di noi, significa realizzare quella osmosi di carità apostolica che rende più vitali ed entusiaste le rispettive comunità. E’ il cammino che ci impegniamo ancora a voler percorrere, perché quanto appena iniziato resti aperto a prospettive future.
Esserci ritrovati insieme e aver riflettuto come membri della Chiesa italiana sulla attività di evangelizzazione in questa regione del mondo e nel nostro Paese d’origine, sapere di essere ponte di comunione tra comunità ecclesiali che ci hanno inviato e accolto, sentirci chiamati a maturare tra di esse quanto lo Spirito opera attraverso la nostra umile presenza e attività, richiede approfondimenti e ulteriori sviluppi.
La nostra attività missionaria diventerà così sempre più ecclesiale e, più che fatto personale o d’Istituto, si realizzerà più coerentemente come Missio Dei.