UFFICIO NAZIONALE PER LA COOPERAZIONE MISSIONARIA TRA LE CHIESE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

MESSAGGIO FINALE Buenos Aires

Chiesa argentina e Chiesa italiana in dialogo: incontro dei missionari italiani
30 Ottobre 2008
Missione e Conversione Pastorale in epoca di pluralismo culturale
 
Sintesi finale dei lavori del Convegno per Missionari/e Italiani/e
operanti nella Chiesa Argentina
 
Pilar, Buenos Aires, 10 – 14 gennaio 2011
 
1. Cambiamenti e prospettive della nostra esperienza missionaria
 
Nel corso di mezzo secolo di presenza missionaria in Argentina, abbiamo assistito ad un passaggio graduale da una Chiesa molto incentrata sul tema della nuova evangelizzazione e dell’opzione preferenziale per i poveri ad una Chiesa che rischia di dimenticare il proprio percorso storico ed in particolare questi aspetti.
In tempi socialmente e politicamente molto più difficili dell’attuale, si assisteva ad una maggior fecondità pastorale ed ecclesiale. La gioventù era molto più attiva ed impegnata. Ad una restrizione delle attività e dei momenti aggregativi corrispose un rifiorire dell’educazione cristiana, in modo particolare della catechesi. La pastorale emergente delle grandi città creava entusiasmo; oggi, al contrario, logora l’operatore pastorale.
È cambiato il modo di fare catechesi familiare, ma perché fondamentalmente è cambiata la famiglia, che non può certo più essere presa come immagine di una piccola Chiesa domestica.
Va detto che c’è una certa “diversificazione” nelle giurisdizioni diocesane e parrocchiali. Alcune di esse sono ancora molto tradizionaliste e clericali, altre invece sono più progressiste, soprattutto nella formazione degli agenti di pastorale, giungendo pure a sperimentare l'invio di missionari “ad gentes”.
Si osserva una certa scollatura tra teoria e prassi pastorale: nella teoria tutto risulta lineare, ma nella pratica pastorale non si sa come agire.
Assistiamo ad un progressivo “passaggio” di cristiani cattolici ad altre confessioni cristiane, perché in ricerca di un'esperienza di vita differente. Questa è pure la conseguenza della perdita del senso della comunità e di un progressivo isolamento dell’individuo.
La gente ha assunto un atteggiamento molto “sacramentalista”: si avvicina alla Chiesa quasi esclusivamente per ricevere un sacramento come se fosse un evento, confondendo l’Iniziazione cristiana con una pratica burocratica da espletare il più presto possibile. Ci si accorge di come manchi ancora una seria esperienza personale e comunitaria di Cristo fondata sulla Parola di Dio.
Tra gli elementi positivi, va sottolineato come si sia riuscito a superare le iniziali frizioni tra alcuni ordini religiosi fondatori storici di diocesi (inizialmente come Vicariati Apostolici) e la Chiesa diocesana che ne è originata. Oggi infatti esiste una buona coordinazione tra clero diocesano e clero religioso.
In generale, non si tratta di leggere questa situazione come “un passo indietro”: forse sono solamente cambiate le modalità di vivere la vita cristiana. Assistiamo anche ad esempi quasi eroici di ragazzi dei nostri collegi che con spirito di abnegazione e di sacrificio vivono particolari forme di impegno missionario.
In relazione alla nostra Chiesa Italiana di origine, abbiamo assistito a due diversi fattori di cambio nell’idea di missionarietà. Da una parte, è evidente il calo delle vocazioni di speciale consacrazione, e di conseguenza degli invii di missionari. Dall’altra parte, però, soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni ’80, si è notato un rifiorire intorno all’idea di missione, in modo particolare da parte degli Istituti Religiosi, che hanno iniziato a mandare in  missione membri che da poco avevano emesso la professione perpetua. Alcuni hanno fatto addirittura la scelta di chiudere case o collegi in Italia per aprirsi alla missione. Si è incrementata di molto l’animazione vocazionale perché la famiglie religiose qui presenti potessero autosostenersi.
Tra le prospettive che l’attività missionaria vede in relazione alla nostra presenza futura possiamo sottolineare le seguenti:
     a) Mantenere viva nelle nostre realtà la fede cristiana e l’attaccamento ai valori del Vangelo.
     b) Alimentare la dimensione della testimonianza di vita cristiana.
     c) Incrementare l’invio di missionari “dalla” e non solo “nella” Chiesa Argentina.
 
2. La Missione Continentale a partire da Aparecida: dalla pastorale delle “attività” a una pastorale “organica”
 
Il Documento Conclusivo di Aparecida (DA) è stato accolto dagli “addetti ai lavori” con gioia, con entusiasmo, con molto apprezzamento, come un documento “nostro”, uscito “dalla base”. C’è stata una pubblicizzazione previa alla consegna del Documento, e nel momento della consegna lo si è percepito come base per la programmazione pastorale. Abbiamo anche fatto in modo che diventasse uno strumento di lavoro attraverso la riflessione, i dibattiti, le catechesi sul “Trittico” della Missione.
Tuttavia, nella pratica pastorale, non è stato ancora recepito, con il rischio che diventi un altro documento in più, solo messo in stato di attesa di uno successivo. Presenta cammini, risposte, itinerari che rischiano di essere irraggiungibili. È segnato costantemente dal “senso della comunità”, ma nella pratica siamo al punto di prima: sembra che non si sia riusciti a concretizzarlo e a tradurlo nella forma “popolare” del vissuto della gente.
Di certo, al di là di tutto, DA è un Documento che segna il passo, che delinea un “prima” e un “dopo”, che smuove le acque rispetto a una novità in procinto di fiorire.
Riguardo alla pastorale e alla necessità della sua strutturale Conversione di cui DA parla, l’impressione è che sia cambiato il contenitore, ma la sostanza sia rimasta la stessa. Le forze vengono meno, e quelle che ci sono son mal distribuite, concentrate nella sede centrale della parrocchia, mentre le piccole comunità (o “cappelle”)  sono lasciate a se stesse, anche per via del “pluslavoro” affidato ai sacerdoti. Le persone più vicine alla parrocchia ed impegnate in essa hanno una mentalità tradizionalista che impedisce il rinnovamento, e cambiare loro la mentalità non è facile in quanto si rischia di offendere le sensibilità personali.
Il concetto di “Conversione Pastorale” non è affatto chiaro: alla fine, lo riduciamo alla domanda “Dobbiamo continuare a battezzare oppure no?”. Se non offriamo un cammino di partecipazione alla vita della Chiesa, assisteremo sempre più al passaggio dei fedeli ad altre Chiese, che sanno offrirglielo in maniera concreta, attraverso – ad esempio – incarichi ministeriali retribuiti.
La Conversione Pastorale esige un cambio di pensiero riguardo ai tempi, ai modi, ai contenuti, all’organizzazione della pastorale: si tratta fondamentalmente di un cambio di metodologia.
È chiaro che questo deve avvenire tenendo ben presente che la struttura è parte integrante della materia, di ciò che prende corpo, per cui non può essere di pari passo eliminata: lo stesso Mistero dell’Incarnazione è stata la forma strutturale della presenza evangelizzatrice di Dio in Gesù Cristo. DA propone, quindi, che la struttura venga mantenuta, ma che il discernimento intorno ad essa assuma un carattere comunitario e non verticistico.
Tenendo quindi conto della necessità non di eliminare, ma di riformare una struttura pastorale ed ecclesiale ritenuta ormai “caduca”, “passata”, riteniamo con rinnovato entusiasmo di poter individuare alcuni percorsi concreti:
  1. Innanzitutto, passare da una pastorale “di massa” ad una pastorale “individualizzata”, personale, che opti per la persona più che per la totalità. Si tratta di “individualizzare la pastorale”: l’anno sacerdotale appena trascorso ce lo ha ricordato attraverso la figura del Santo Curato d’Ars.
  2. Passare dalla sacramentalizzazione alla prima evangelizzazione attraverso la testimonianza personale. Non posso far conoscere l’amore di Cristo se non contagio l’altro con il mio amore per Lui.
  3. Proporre una catechesi basata sul vissuto e non sul metodo, ossia mostrare come si vive la vita cristiana in gesti concreti, aiutando la gente a realizzare il proprio incontro personale con Cristo.
  4. Avere un atteggiamento misericordioso e di accettazione di tutti, soprattutto dei diversi, evitando discriminazioni, giudizi morali o pregiudizi.
  5. Attuare cambiamenti di mentalità che facilitino il risveglio o la nascita della fede. Va mostrata l’immagine di una Chiesa che faciliti, e che non impedisca l’incontro con Cristo e di conseguenza la vita di fede.
  6. Creare una mentalità missionaria. Formare gruppi missionari parrocchiali e nei collegi, almeno quelli cattolici.
  7. Da ultimo, dare dimostrazioni concrete di vita comunionale e fraterna, a livello sacerdotale e negli Istituti Religiosi, stimolando a questo e chiedendone l’aiuto anche al Collegio Episcopale, sull’invito del Maestro che ce lo ha consegnato come testamento spirituale: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21).