UFFICIO NAZIONALE PER LA COOPERAZIONE MISSIONARIA TRA LE CHIESE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Terza Giornata ad Assisi: piedi in cammino e missionari con le maniche rimboccate

I “piedi in cammino” mettono in moto la missione fino agli estremi confini della terra. La terza Giornata di formazione e spiritualità in corso presso la Domus Pacis di Assisi, è tessuta sulle testimonianze dei missionari a partire da don Amedeo Cristino, già fidei donum in Benin e in Etiopia, che è entrato nelle ragioni del “senso dell’andare” ad gentes «Si […]
30 Agosto 2023

I “piedi in cammino” mettono in moto la missione fino agli estremi confini della terra. La terza Giornata di formazione e spiritualità in corso presso la Domus Pacis di Assisi, è tessuta sulle testimonianze dei missionari a partire da don Amedeo Cristino, già fidei donum in Benin e in Etiopia, che è entrato nelle ragioni del “senso dell’andare” ad gentes «Si evangelizza per contagio, grazie al contatto, all’abbraccio con le persone, con i mondi e le culture diverse – ha detto don Amedeo -. L’itineranza è la cifra dell’esperienza di Gesù, posare il piede sulla strada è toccare Gesù, il Vangelo si ascolta ma è anche cammino. Da giovane prete a San Severo ho maturato nuove esigenze spirituali, ho sentito il bisogno di toccare un’altra terra, di qualcosa di nuovo sul piano umano e spirituale. Andare è un verbo che ci appartiene come cristiani , “seguimi” è il comandamento a cui risponde il discepolo ma ma non sempre le parole di Gesù sono facili da comprendere».

Nel suo appassionato racconto, don Amedeo spiega di essere partito per l’Africa «con l’arroganza del giovane prete che pensava di andare a portare qualcosa alla gente e invece ho trovato Gesù che mi aspettava lì, nel villaggio di Wansokou nel Nord del Benin tra gente sperduta e improbabile. Sono i fratelli che devi raggiungere se vuoi incontrarle Gesù vivo.

Don Amedeo Cristino

Dietro a porte chiuse dove pensi ci sia niente da scoprire, scopri che l’amore di Dio è una esperienza del tutto personale». In un posto in cui «ero l’unico ad avere l’orologio e dove mi hanno detto “ma perché voi bianchi che avete l’orologio non avete mai tempo e noi che non ce l’abbiamo, di tempo ne abbiamo tanto?”» don Amedeo ha sperimentato che «andare è una scelta che comporta l’esperienza dello spaesamento, l’uscire dal tuo Paese, dalla tua consuetudine, aiuta a scoprire altre verità negli occhi degli altri».

Poi la tavola rotonda moderata da Paolo Annechini, giornalista, per raccontare cosa significa vivere la missione oggi, la testimonianza di una giovane coppia di sposi fidei donum della diocesi di Milano, Giacomo Cresi e Silvia Caglio, tornati dalla missione di sei anni in Perù con due bambini; e di Alberto Capannini dell’Operazione Colomba dell’associazione Giovanni XXIII. Molto intenso il ricordo di suor Eleonora Riboldi, comboniana, accanto a suor Maria De Coppi, uccisa il 6 settembre dello scorso anno a Kipene nel Nord del Mozambico, durante un attacco terroristico.

Suor Eleonora racconta: «la sera in cui Maia è morta, è un ricordo traumatico. Una esperienza che segna la vita ma che fa capire anche qual è il senso del nostro essere missionari. Quando ho visto suor Maria in terra con le braccia aperte e ho pensato al Cristo crocifisso. Ho visto in lei il compimento di una vita donata completamente alla missione, fino alla fine. Era il fine ultimo di quasi 60 anni di missione in Africa, aveva seguito il popolo mozambicano dall’essere colonia, all’indipendenza e alla guerra civile, ha condiviso gioie e fatiche della gente. Cosa è rimasto di lei ad un anno dalla sua morte? Oltre al suo corpo, come lei voleva, tutta la comunità cristiana la ricorda con amore e tanta gratitudine per il servizio da lei svolto».

E se la missione ha cambiato negli ultimi anni stile di presenza, questo trend rientra in un rinnovamento globale della Chiesa, come sottolineato ieri pomeriggio da don Dario Vivian, docente alla facoltà Teologica del Triveneto nel suo intervento su “Il celebrare eucaristico tra con-vocazione e pro-vocazione” in cui ha sottolineato che: «La Messa domenicale si celebra con le porte della parrocchia aperte sulla strada. Non è un evento per pochi: è una dinamica dedicata a tutti indistintamente in cui si ripete un evento immenso. Ma quando il celebrare può allontanare i giovani dalla Chiesa?». Rileggendo le dinamiche liturgiche, don Vivian ha sottolineato che bisogna «accettare la provocazione del nostro tempo per fare in modo che la celebrazione possa mettere i “piedi in cammino”, lo Spirito ci spinge a comprendere, ad aprirci. Il celebrare contesta e rinnova. Se la celebrazione non è rivoluzionaria, rinnovatrice, non funziona».